Fano Jazz by the Sea, 27-29 luglio 2017 Seconda parte

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Fano Jazz by the Sea
Giovanni Falzone - foto Michele Alberto Sereni

Echi della migrazione
Pinacoteca di San Domenico, Fano 27-29 luglio

Nata nel 2016 da un’idea del direttore artistico Adriano Pedini, Echi della migrazione costituisce un valore aggiunto nell’ambito della programmazione del festival fanese. In primo luogo, per i significati artistici e socio-politici che questa minirassegna esprime nella fase storica che stiamo attraversando. In secondo luogo, ma non secondariamente, per i contenuti musicali proposti attraverso il confronto del singolo musicista con gli spazi e i riverberi della chiesa sconsacrata di San Domenico.

Con la sua chitarra sarda preparata Paolo Angeli affronta una vera e propria sfida. Lo strumento consta di una cassa armonica ben più ampia di quella convenzionale e di ben diciotto corde, otto delle quali applicate tramite una cordiera trasversale, mentre le restanti quattro sono corde di violoncello fissate mediante un ponte posto nella parte terminale dello strumento, a sua volta sostenuto da un puntale simile a quello di un contrabbasso. Si avvale poi di due pedaliere: la prima, sistemata sulla destra, permette ad Angeli di azionare dei martelletti che attivano i bassi, mentre sulla sinistra una seconda gli consente di eseguire la parte melodica sdoppiando il suono acustico e quello elettrificato. Inoltre, delle eliche inserite in prossimità del bordo della cassa producono un suono ronzante, efficace anche per la creazione di bordoni. Infine, Angeli può trattare lo strumento alla stregua di un violoncello con l’ausilio di un archetto, o trasformarlo in un’arpa o un oud. In tal modo può operare su una vasta gamma di fonti: inserti vocali in lingua sarda, segnatamente legati al cantu a chiterra logudorese e gallurese; echi di musica araba; fraseggi di una pulizia sonora che ricorda Ralph Towner; digressioni con distorsione affini alla poetica di Fred Frith, Elliott Sharp, David Torn e anche Okkyung Lee; perfino Desired Constellation di Björk. Ne risulta una sintesi coerente e omogenea, senza concessioni a mode world o a un Mediterraneo da cartolina.

Fano Jazz by the Sea
Paolo Angeli – foto Michele Alberto Sereni

Sulla scorta della sua più recente incisione, «Migrante» (Maccalube), Giovanni Falzone propone un percorso a tappe che evoca sia esperienze autobiografiche che drammi attuali. Costruisce delle basi utilizzando, e stratificando, campionamenti di piccole percussioni, oggetti vari, campanellini, flauto dolce e voce, sfruttando di quest’ultima sia un registro grave e gutturale che i sovracuti. Ne scaturisce un mosaico sonoro, base efficace per innestare con la tromba cellule dilatate dal delay (secondo una poetica cara anche a Jon Hassell), frammenti melodici, rapidi saliscendi e arabeschi dalle ampie curve. Ciò che maggiormente colpisce è il lavoro sul suono, paragonabile al cesello di un artigiano: a campana aperta, con delay o tramite sordine, e nell’interazione con le fonti campionate. Il tutto, evitando accuratamente cadute sul terreno scivoloso del “finto-etnico”. Una poetica che riflette fedelmente la propensione del trombettista a ricercare costantemente in molteplici direzioni.

Fano Jazz by the Sea
Giovanni Falzone – foto Michele Alberto Sereni

Più rischiosa ancora può rivelarsi la performance solistica di un percussionista. Già come batterista, Roberto Dani evidenzia uno spiccato gusto coloristico, accompagnato da un gesto quasi scultoreo, coreografico, dal forte impatto scenico. Come l’esibizione fanese ha ampiamente confermato, in solitudine Dani dà fondo alla sua inclinazione di percussionista e creatore sonoro, fautore di una puntigliosa ricerca timbrica. Sistemata una batteria “destrutturata” al centro dello spazio e tra il pubblico, Dani fa ingresso sulla scena partendo da un angolo remoto e accompagnandosi con un arcano scandire dei piatti. Fin da subito risalta la sua tendenza a rapportarsi con lo spazio, i riverberi e i silenzi. Dani procede alla lenta aggregazione di cellule con l’ausilio di metalli e pelli, sfiorati o percossi con bacchette varie, tocchi su un’arpa cetra posizionata sulla grancassa, bordi sfregati con un archetto. Un procedimento di marca contemporanea, arricchito da fugaci echi della poetica di maestri delle avanguardie jazzistiche europee (Pierre Favre, Paul Lytton in primis). La scansione lenta, metodica, quasi ieratica, degli eventi lascia poi spazio a passaggi, o picchi sonori veri e propri, venati di iconoclastia. Dani dimostra come si possano ribaltare ruoli e convenzioni, sia dal punto di vista dell’esecutore che da quello dell’ascoltatore.

Enzo Boddi

Fano Jazz by the Sea
Roberto Dani – foto Michele Alberto Sereni
Roberto Dani – foto Michele Alberto Sereni