Eyolf Dale: Return To Mind

Il giovane ma già affermato pianista e compositore norvegese è una delle voci più interessanti del jazz europeo. Conosciamolo meglio.

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Eyolf, dove vivi ora?
Vivo a Oslo e mi sono appena trasferito in un nuovo appartamento: ho ristrutturato un loft del 1870 a Grünerløkka (un quartiere di Oslo). A soli due minuti a piedi dal mio studio: è il posto ideale dove vivere.

Parafrasando il titolo del tuo ultimo disco, cosa ti ritorna in mente più spesso?
Sicuramente il suono, che ho sempre in testa; e il desiderio di materializzarlo con il pianoforte.

«Return To Mind», è il tuo secondo album con l’Edition Records. Un traguardo importante per te.
Sì, senza dubbio, il rapporto con l’Edition Records è ed è stato molto importante per me. Da un lato, la loro distribuzione in tutto il mondo e il buon lavoro di pubbliche relazioni hanno dato alla mia musica una visibilità globale. Dall’altro lato, credono in me e condividiamo gli stessi obiettivi musicalmente: essere il più onesti possibile, ma essere in grado di metterci alla prova. Per un artista, questo è davvero cruciale e mi spinge e ispira ad andare avanti artisticamente.

Comunque, questo è il tuo quarto album come leader. Il tuo primo lavoro discografico è «Hotel Interludes» del 2011. Quanto è cambiata la tua concezione della musica nel corso del tempo?
Immagino che il nucleo portante della mia musicalità e l’amore per la verità e originalità non sia cambiato da quando ero bambino. Se dovessi utilizzare una metafora, mi sento come se stessi raccogliendo frutti dagli stessi campi di sempre, ma il tempo e il clima sono sempre in evoluzione e cambiamento. La sensibilità sia alla vita che alla musica è una risorsa importante per tutti i compositori e gli improvvisatori e, man mano che invecchiamo, l’appetito cambia. Ho sperimentato nuova musica, incontrato nuove persone, sono stato in nuovi posti da quando ho registrato il mio primo disco nel 2011; quindi è difficile individuare con precisione ciò che è cambiato musicalmente. Tuttavia, ho lavorato molto duramente dal punto di vista compositivo da quei giorni, e il mio senso della forma e dell’orchestrazione sembra più maturo ora. Dopo aver letto libri sul contrappunto, sull’orchestrazione e aver studiato gli spartiti, mi sono innamorato del dramma musicale e della gioia di dipingere timbri orchestrali. Questo vale anche per il mio modo di suonare il pianoforte, poiché tutto il mio lavoro è in qualche modo correlato al mio modo di suonare.

E tutto ciò si ascolta nella tua musica. Le tue composizioni sono fresche, originali ma hai sempre un occhio rivolto alla tradizione. Quanto è importante la tradizione per te?
In verità, la tradizione non è così importante per me. Ad esempio, adoro il suono e l’approccio della musica classica, della musica jazz e della musica classica contemporanea. E ho trascorso molto tempo a capire i meccanismi alla base dei suoni che mi piacciono, ma tutto a causa di un obiettivo più alto. Quali colori posso imparare a usare qui e come posso mettere in relazione quegli strumenti con la mia voce interiore? Questa è la cosa principale per me.

Dove hai composto «Return To Mind»?
Principalmente al mio pianoforte nel mio cottage in campagna, a quattro ore a sud di Oslo. Un bellissimo posto che è sempre appartenuto alla mia famiglia da circa cento anni, situato in una vecchia fattoria accanto a un grande lago. Questo è il posto dove vado quando ho bisogno di concentrarmi per diversi giorni. Di solito lavoro tra le dodici e le quindici ore al giorno quando sono lì; faccio qualche pausa solo per passeggiare lungo il lago.

Vorresti parlarci dei tuoi compagni di viaggio?
L’ensemble è lo stesso di «Wolf Valley» del 2016, e mi è sembrato giusto comporre nuova musica per lo stesso ensemble. Dal 2016 abbiamo suonato un sacco di concerti e l’interazione si è evoluta notevolmente. Volevo usarlo il combo per tutto il suo valore. L’ottetto è stato originariamente scelto perché erano i migliori musicisti a cui potevo pensare per realizzare la visione musicale che avevo. Ed erano anche miei amici e persone davvero splendide.

Alcuni brani sembrano costruiti sotto forma di suite, come Midsomer Gardens. Hai studiato musical classica?
No, sto solo fingendo. Non ho mai preso neanche una lezione di pianoforte classico in vita mia. Ma, come detto, adoro il suono della musica classica e questo mi ha ispirato molto. C’è da dire una cosa, però: quando avevo circa venticinque anni ho suonato molta musica classica per pianoforte per me stesso. È iniziato così come un processo di lavoro con la mia lettura a prima vista, che all’epoca era davvero terribile. Ho comprato un paio di libri con sonate di Mozart, Beethoven, Haydn, Šostakóvič e altri autori. E ho cercato di incorporare questa musica nella mia routine di pratica quotidiana. Ciò ovviamente ha migliorato la mia lettura a prima vista, ma ha anche ispirato la mia composizione e l’idea di come un pianoforte potesse suonare molto più di quanto mi aspettassi.

Penso che tu abbia il raro dono dell’ironia musicale, così come si ascolta in Soaring. C’è qualche retroscena particolare per questo brano?
In questo brano cerco di bilanciare l’evidente romanticismo della canzone con la malinconia e un leggero sorriso. Sottile, ovviamente. E per poterlo fare, devo elevarmi al di sopra dell’ovvio e concentrarmi sulla percezione della composizione piuttosto che sui piccoli dettagli. Questo per me è un processo molto interessante e adoro giocare con le tendenze musicali e l’ironia gioca un ruolo importante in questo.

Pensi che l’ironia sia importante per vivere Meglio?
Certamente! Non ci si dovrebbe prendere troppo seriamente.

Non so se ricordi, ma alcuni anni fa Madonna lanciò la moda di una maglietta con su scritto: Italians do it better. Personalmente, penso che i musicisti scandinavi facciano il miglior jazz, al momento. Perché hanno capacità introspettive e grandi idee dal punto di vista compositivo, anche rispetto agli statunitensi. Cosa ne pensi?
Sì, c’è molta musica jazz davvero fantastica in Scandinavia. Alcuni dei miei più grandi eroi erano musicisti jazz norvegesi. Il fatto che avessimo gli idoli del nostro «quartiere» è stato davvero stimolante. Storicamente ci sono diverse spiegazioni al «suono nordico», e sento che è diventata una tradizione jazz a sé stante, proprio come la tradizione jazz americana. A mio avviso inizia tutto dalla composizione: se si suona una buona composizione, segue una migliore improvvisazione.

La Norvegia è un territorio ricco di pianisti: oltre te ci sono Bugge Wesseltoft, Tord Gustavsen, Jon Balke, solo per citarne un paio. Tanto che potremmo parlare di una scuola pianistica norvegese, così come di una concezione compositiva e tecnica di matrice norvegese. Chi è l’antenato di tale scuola, a tuo avviso?
In verità non saprei dirtelo, ma le diverse generazioni di pianisti hanno davvero ispirato il prossimo. Voglio dire, sono cresciuto con il suono di Jon Balke, Bugge Wesseltoft ed Egil Kapstad. Hanno tutti avuto un grande impatto su di me. Forse la prossima generazione sarà ispirata dai musicisti della mia generazione? Secondo me rimane scolpito nella memoria chi crea un canone in cui gli elementi migliori sopravvivono alla prova del tempo.

Ti va di parlare della Trondheim Jazz Orchestra, della quale fai parte?
TJO è fantastica e ho avuto la fortuna di comporre un pezzo per loro insieme ad André Roligheten, che si trova nell’album «Tree House», di cui sono molto orgoglioso. Ho suonato con loro solo in questo progetto. Nessun musicista è membro regolare di quell’orchestra, poiché cambia la sua formazione da un progetto all’altro. Tuttavia, hanno un’identità riconoscibile. E tutto ciò è impressionante!

Qual è stata la tua collaborazione che repute fondamentale per la tua crescita artistica?
Penso che sia stato il tenorista André Roligheten. Siamo cresciuti insieme e abbiamo iniziato a esplorare il mondo dell’improvvisazione nello stesso periodo. Ci siamo esercitati insieme all’inizio, e non necessariamente per un concerto, anche solo per divertimento. Da allora abbiamo suonato centinaia di concerti in duo insieme in tutto il mondo, e direi che questa è stata la mia principale scuola di jazz.

Musica a parte, di cos’altro ti occupi? Hai qualche hobby?
Adoro correre, almeno quando ho il tempo di farlo. Mi piace fare foto con la mia macchina fotografica. A parte questo, sono ancora alla ricerca di nuovi hobby: devo ancora scoprire il mio hobby principale!

Eyolf, cosa significa la musica per te?
E’ come respirare.

Cosa altro bolle in pentola?
Questo autunno andrò in tournée con Daniel Herskedal (un altro artista della Edition), poi c’è il duo Dale-Roligheten, il quintetto di Mathias Eick e alcuni concerti con il mio nuovo trio! Ed è sul trio che voglio concentrarmi nel prossimo futuro. Andremo in studio a dicembre per registrare un nuovo album. I concerti che abbiamo avuto finora sono stati un’esperienza fantastica per me e il trio presenta due delle mie principali ispirazioni; gli altri due component sono il batterista Audun Kleive e il bassista Per Zanussi. Dopo, sarò di nuovo in tournée con la band Wolf Valley.

Cosa è scritto nel diario segreto di Eyolf Dale?
Ovviamente è segreto!
Alceste Ayroldi