European Jazz Conference 2017 chiude con tanti successi

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European Jazz Conference 2017

The European Jazz Conference è un evento unico nel panorama europeo, e si concentra sugli scambi di diverse esperienze, sullo sviluppo di nuovi progetti e collaborazioni e sulla costruzione di partnership solidali e incentivanti tra chi vi partecipa.

La quarta edizione, conclusa pochi giorni fa a Lubiana, includeva anche la trentesima Assemblea Generale di Europe Jazz Network, la più importante associazione di festival ed eventi jazz in Europa, e ha chiuso i quattro giorni con l’eccellente successo partecipativo di 280 delegati provenienti da 43 nazioni, anche non europee, a conferma di quanto la costruzione di interazioni e sinergie tra diverse realtà siano sempre più un necessario punto di forza e di crescita.

Abbiamo chiesto una testimonianza a Filippo Bianchi e domandato a Francesco Martinelli e Enrico Bettinello, due dei rappresentanti italiani in questa ultima edizione, di spiegarci meglio come si sono svolte queste giornate, nonché il loro ruolo all’interno dell’Associazione.

European Jazz Conference 2017

TO THE BEAT OF A DIFFERENT DRUMMER

Forse non è privo di interesse rilevare che quando l’ho concepito, giusto alla metà degli anni Ottanta (la «messa su strada» richiese un paio d’anni), EJN era un progetto molto in controtendenza con il «pensiero dominante». Bisogna ricordare che quello era il tempo in cui trionfavano l’individualismo e il rapacismo sfrenato («There’s no such thing as society, only individuals», diceva Margaret Thatcher).
I progetti collettivi – i grandi racconti, per dirla con Jean-François Liotard – si erano dissolti nel corso del decennio precedente. E invece proprio quelli erano i presupposti dell’associazione: la cooperazione, certo, la condivisione, ma anche l’idea di un «pensiero collettivo» in rete, visto che fra i fondatori si annoveravano pure intellettuali di prim’ordine. Così, se il
timing è materia fondamentale nel jazz, bisogna dire che quello di EJN fu come minimo anomalo: sul piano tecnologico, infatti, era decisamente troppo avanti al suo tempo (la maggior parte dei soci non aveva nemmeno un computer), su quello filosofico era decisamente indietro. Ma siccome Tony Williams da un lato, e Lee Konitz dall’altro, ci hanno insegnato che anche il timing è un concetto relativo, non mi sorprende più di tanto che trent’anni dopo questa sia diventata una delle più grandi ed efficienti associazioni culturali del mondo: evidentemente le mode passano, ma la natura sociale degli uomini persiste.

Filippo Bianchi

Cosa è l’European Jazz Conference?
Francesco Martinelli.
È la versione più recente e più aperta della assemblea generale annuale dello Europe Jazz Network, un’associazione di promoters (festival, club e agenti) nata in Italia alla fine degli anni Ottanta soprattutto per impulso di Filippo Bianchi, che è stato anche direttore di Musica Jazz. In realtà io stesso detti un modesto contributo rimediando un piccolo finanziamento che ci consentì di organizzare a Pisa una delle primissime riunioni in cui si firmò il primo atto di costituzione, e all’assemblea generale di quest’anno è stato mostrato l’incunabolo con le nostre firme e i bolli notarili.
L’ EJN oggi è una vera organizzazione europea con staff italiano, presidente inglese (uscente) e sede a Pantin, presso Parigi.

Chi può partecipare?
F.M. Oggi l’assemblea non è più aperta solo ai soci – a parte la seduta in cui si decidono le cariche statutarie – ma a tutti gli operatori che vi accedono pagando una quota di partecipazione. Ci sono musicisti, organizzazioni che non sono ancora membri del network ma che vogliono conoscerlo, etichette discografiche. Di anno in anno si svolge in una città diversa, e i festival locali propongono – accanto alle sedute plenarie o di tavoli di lavoro – una vetrina per i gruppi di jazz del Paese che ospita l’evento: nel 2018 si terrà a Lisbona. I membri dell’organizzazione sono circa 120, ma i partecipanti all’evento erano ben oltre il doppio.
È anche mutato il programma, oggi molto più ricco di interventi esterni: un musicista come Rabih Abou-Khalil ha dato insieme al nostro Luciano Biondini un applauditissimo concerto e poi ha portato la sua esperienza internazionale in uno dei keynote speeches, così come la musicista maliana Rokia Traoré, oltre a molti altri artisti, ricercatori e operatori dell’informazione.

Com’è stata questa edizione?
F.M. Lo spazio era un grandioso palazzo dei congressi con ottime sale, comodi auditorium e uno spazio club all’ultimo piano, da cui si ammiravano la Slovenia e le sue montagne.
Tra i concerti sono stati particolarmente avvincenti il duo di piano di Eve Risser e Kaja Draksler, artista slovena, concluso da un arrangiamento di un brano di Carla Bley e l’assolo dell’originale violoncellista e batterista Kristijan Krajncan, un altro sloveno che ha studiato ad Amsterdam e che alterna i due strumenti e l’elettronica spaziando da Bach ad Arvo Pärt attraverso la libera improvvisazione.

E infine, a cosa si doveva la tua presenza?
F.M. La mia partecipazione era legata alla presentazione del progetto editoriale cui da tempo sto lavorando, una massiccia storia del jazz europeo che è stata promossa dall’ EJN grazie a un finanziamento europeo del programma Creative Europe e che dovrebbe, dopo tre anni di lavoro, vedere la luce l’anno prossimo: 650 pagine, quaranta articoli con 33 voci di altrettante nazioni europee scritte da esperti locali e sei articoli di contesto, pubblicato dalla casa editrice inglese Equinox.

Eve Risser & Kaja Draksler in concerto a European Jazz Conference 2017
Eve Risser & Kaja Draksler in concerto a European Jazz Conference 2017

Nell’edizione appena conclusa sei stato eletto membro del consiglio di EJN e finalmente, dopo tanti anni di assenza, abbiamo di nuovo un rappresentante italiano. Quali sono i tuoi obiettivi per questo incarico?
Enrico Bettinello. L’obiettivo principale è quello di lavorare bene al servizio dell’associazione, che in questi anni ha promosso e sta portando avanti un numero notevole di progetti e che richiede – giustamente – impegno e attenzione.
Come organismo che ha l’obiettivo di dare una rete solida e di fare crescere il jazz europeo, i «nazionalismi» sono in fondo meno rilevanti, anche se va detto certo che – essendo un’associazione che nasce in Italia, che ha tuttora un eccellente staff operativo italiano e in cui il numero dei membri italiani è tra i più rilevanti, insieme a Regno Unito e Norvegia – ritengo un fatto positivo che a lavorarvi attivamente sia anche un rappresentante del mondo del jazz italiano.
Spero quindi che il mio lavoro possa essere in qualche modo utile anche a tutto il «sistema jazz» di casa nostra, che in questi ultimi anni ha con grande fatica e entusiasmo incominciato a fare sistema, penso al lavoro di I-Jazz e di Midj, e all’interlocuzione con il Ministero, che con tutte le perfettibilità del caso è comunque un aspetto positivo.
Utile nel senso di facilitare le relazioni, di segnalare le best practices a livello continentale, di costruire ipotesi di una più agevole diffusione delle eccellenze del jazz europeo (e le nostre sono senza dubbio tra queste) nella rete dei festival.

Più ampiamente, che importanza ha far parte di questo network?
E.B. In parte credo di avere già risposto sopra. Io ho sempre trovato illuminante confrontarmi con colleghi europei, uscire dalle logiche un po’ provinciali in cui a volte rischiamo di ricadere. Il confronto con esperienze di programmazione diverse, con riflessioni diverse, il respirare secondo progettualità che valorizzano la comunità degli artisti e quella degli ascoltatori cui si rivolge, prima ancora che il volere dell’assessore di turno o i numeri del botteghino, è elemento che fornisce a chi si occupa di queste pratiche musicali molta forza e la rassicurante sensazione di non essere solo.
All’interno di EJN sono attive progettualità che riguardano l’inclusione di cittadini svantaggiati, il jazz per l’infanzia, le nuove tecnologie, solo per citarne alcune; e sono temi in grado di scardinare quella propensione a guardare solo alla propria esperienza – in termini alternativamente di lamentela per la scarsità di fondi o di esaltazione della propria presunta eccezionalità – e spostano felicemente il fuoco del discorso verso obiettivi culturalmente e socialmente significativi.
Come ti dicevo, in Italia sono già molti gli associati, tra cui anche I-Jazz, l’associazione dei festival: un elemento importantissimo. Sono certo che magari qualche altro festival si incuriosirà presto e che comunque ci sarà sempre maggiore attenzione verso le potenzialità del network. Ne vale certamente la pena, se si ha voglia di mettersi in gioco.

www.europejazz.net

Monica Carretta