
Il mattino si sveglia presto ma già vede molta gente al lavoro per rimettere in ordine e in moto le vie del festival, dove continuano a riecheggiare le note perfino in quel breve momento di pausa. Primo appuntamento alla libreria Feltrinelli, dove viene presentata JIP – Jazz Italian Platform – dalla voce del suo presidente Marco Molendini, assieme al direttore artistico di UJ Carlo Pagnotta, a Valerio Toniolo (amministratore delegato dell’Auditorium di Roma) e a Simone Fittuccia, presidente di Federalberghi, con una vivace discussione su jazz e territorio. Il tutto è completato da un intervento di Paolo Fresu.

A seguire, mi ritrovo ad assistere a un momento prezioso: il concerto solitario di Joachim Kühn, alla Galleria Nazionale dell’Umbria. Peccato per chi non c’era: il pianista tedesco possiede una personalità davvero speciale, e per la prima volta si esibisce a Umbria Jazz. Concentrato e appassionato, nella prima parte Kühn si lascia andare a una lunga improvvisazione per poi condurci nell’affascinante mondo di Ornette Coleman (col quale ha collaborato a lungo). Alcuni momenti sono da vera pelle d’oca, come Songworld e Lost Thoughts.

Al teatro Morlacchi, nel pomeriggio, ritrovo poi Joel Ross, il vibrafonista di Chicago che ha già stregato praticamente tutti. Assieme alla sua band riesce a incantare e a tenere incollati fino all’ultima nota tutti i presenti, tra memorabili uscite solistiche, momenti eterei e cortocircuiti di ritmi e cambi di atmosfera. Una giovane stella che, fin dal suo recente esordio, continua imperterrita a farci sognare. E, sotto una tenue e poetica luce crepuscolare, mi dirigo all’Arena Santa Giuliana, che si popola lentamente. In attesa di Nick Mason, assistiamo all’opening della grintosa basista e cantante Nik West. Già la conoscevamo per la sua personalità eccentrica, e anche qui fa mostra delle sue caratteristiche: outfits bizzarri, colori super-intensi e talento da vendere. Il palco è impregnato non solo della sua presenza ma anche di quella dei compagni, e si fa fatica a restare fermi: in pochi minuti luccica non solo lo stage ma anche la silhouette della folla, che non può fare a meno di ballare. Con un piccolo ritardo, arriva infine il momento del tanto atteso concerto di Nick Mason, lo storico batterista dei Pink Floyd, qui con i suoi Sourceful of Secrets. Dopo una lunga introduzione e un gioco di luci di forte effetto, siamo catapultati in uno spazio-tempo completamente nuovo rispetto a ciò che si è ascoltato finora. È infatti con Interstellar Overdrive che comincia il viaggio, nel corso del quale possiamo ammirare la verve del settantacinquenne batterista che, seduto dietro il suo altare di strumenti, sa ancora lasciare senza fiato accompagnandoci a rivisitare la storia dei Pink Floyd dal 1967 al 1972. Ascoltiamo, tra i tanti, Fearless, Green Is The Color, Let There Be More Light, One Of This Days e Set The Controls For The Heart Of The Sun, dove Mason si cimenta con il grosso gong piazzato alle sue spalle. Lui stesso racconta di non averlo mai suonato con i Pink Floyd, ma «questa è la mia serata». E, con i suoi compagni, si getta in un paio d’ore di suoni psichedelici, distorsioni, effetti visivi di grande impatto che scavano a fondo nella consapevolezza del pubblico. Un concerto destabilizzante, mistico, agrodolce.
Soukizy
