«DESTINATION UNDER CONSTRUCTION». INTERVISTA AD ANDREA MANZONI (SECONDA PARTE)

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«Destination Under Construction» è il titolo del secondo album da leader del pianista biellese Andrea Manzoni. Questa è la seconda parte dell’intervista.

Parliamo di Schicksal in arbeit. Tre movimenti e il secondo in solitudine. Come è nata questa composizione?

Schicksal in arbeit è una vera e propria suite divisa in tre movimenti. E’ un brano interamente scritto tranne il secondo movimento in solo che permette di entrare in una realtà parallela. Le mie influenze classiche sono assolutamente presenti in questo brano. Il primo movimento, serrato e claustrofobico mentre il terzo quasi hip hop. E’ una nuova proiezione, uno squarcio verso quello che potrà essere un  lavoro futuro con la formazione del trio classico. Ultimo aspetto ma non per questo meno importante, il mio amore per gli Area. E da qui il titolo dove echeggia in lontananza il capolavoro di «Arbeit macht frei».

E’ vero che, nel tempo, il concetto di giovane, dal punto di vista anagrafico. Sei annoverato tra le giovani promesse del jazz italiano: sei più scocciato di essere definito giovane o promessa?

Credo che sul giovane non ci si scocci mai. Le «promesse» invece vanno e vengono. In Italia è pieno di musicisti strepitosi, preparati con un talento incredibile ed una creatività degna dei grandi nomi della storia. Purtroppo le difficoltà del periodo storico che stiamo vivendo non aiutano. Non bisogna mai smettere di lottare e di credere in quello che si sta facendo.

Hai un passato di collaborazioni importanti e di ampio respiro. Qual è quella che ti ha lasciato un segno più di altre?

Sono tre le collaborazioni che mi hanno segnato di più e che mi hanno permesso di comprendere la libertà all’interno del suono. La prima con Lawrence D. “Butch” Morris e l’orchestra del conservatorio di Novara, la seconda assieme al padre del live remix, il norvegese Jan Bang e la terza con il batterista Aldo Romano con il quale ho avuto modo di collaborare per il festival Strade del Cinema  all’interno di un progetto dedicato a Rossellini. Ognuno di loro ha lasciato un segno indelebile nella mia formazione e nel mio modo di percepire la musica.

Al jazz come sei arrivato?

Ho iniziato ad ascoltare e studiare musica jazz all’età di quindici anni. Mi sono avvicinato grazie ad uno dei miei insegnati che aveva suonato per vent’anni nelle navi da crociera in Sud America accompagnando cantanti, ballerini e showman di ogni tipo. Da li mi sono avvicinato agli standard e allo studio del linguaggio jazzistico arrivando a grandi insegnanti quali Franco D’Andrea, Stefano Battaglia sino all’armeno Armen Donelian docente della New School a New York. Da lì è nato il mio amore per la musica armena.Ho iniziato con il tempo a cercare di costruire un mio percorso che si allontanasse da quello che era il linguaggio della tradizione che sentivo stretto e  non appartenermi, sino ad arrivare a scrivere musica originale. Spaziando dal rock alla musica elettronica, alla canzone d’autore con la formazione LoMè alla musica per il cinema e per la radio.

Insegni pianoforte e meccanica fisiologica della tecnica pianistica e ti occupi di riabilitazione con pianisti che hanno subito traumi da affaticamento cronico o interventi chirurgici alle mani. Come hai acquisito questa abilità e capacità? Qual è il tuo ruolo al fianco dello psicologo e del fisioterapista?

L’aspetto della riabilitazione è una parte della mia vita alla quale sono molto legato. Non è come insegnare pianoforte. Bisogna lavorare a stretto contatto con uno studente in condizione psico-fisiche molto delicate. Bisogna ricostruire, molte volte quasi da zero, l’individuo ed il musicista sia dal punto di vista psicologico, ed ecco che entra in gioco il ruolo dello psicologo e psicoterapeuta Andrea Sales con il quale collaboro da molti anni, sia dal punto di vista fisico (grazie alla fisioterapista Elena Anzola) attraverso un percorso di rieducazione mnemonica. Ho seguito molti casi di ragazzi in condizioni davvero difficili che improvvisamente sono rinati. Il motivo del mio interessamento a questa disciplina? Semplice, perché sono stato una vittima. Dall’ossessione allo studio del pianoforte, dal quantitativo spropositato di ore sullo strumento e di una tecnica, non tanto fisica (nel mio caso) ma di apprendimento, non efficace. Da quel momento con l’aiuto di insegnanti, neurologhi, psicologi, fisioterapisti e tanti libri ho perfezionato alcuni aspetti riabilitativi già esistenti. Molti insegnanti lavorano alla re-impostazione di uno studente che ha avuto problemi, ma la maggior parte delle volte la differenza tra me e queste persone è dovuta dal fatto che loro non hanno subito traumi da affaticamento cronico e non hanno chiari i punti di dolore e affaticamento di uno studente, non avendo vissuto in prima persona questo trauma. Tutto questo percorso  mi ha portato ad avere un’attività lavorativa frenetica senza aver alcun problema, anzi comprendendo molto di più i parametri legati al suono del mio strumento.

Ultimamente sei stato in diverse parti del mondo a suonare: come ha risposto il pubblico al tuo progetto musicale?

Nell’ultimo anno ho avuto molte opportunità di esibirmi in contesti prestigiosi, Dall’acropolium di Cartagine in Tunisia, all’e-luminate festival di Cambridge, all’A-Trane di Berlino sino alla Volkshaus di Zurigo. Le persone hanno risposto benissimo. Abbiamo sempre fatto sold out e l’entusiasmo è stato grande. Sia da parte del pubblico che degli organizzatori. E’ stato molto emozionante.

Ora, quali sono i tuoi prossimi impegni?

Dal primo settembre vivrò a Parigi per iniziare nuove collaborazioni e perché, come molti italiani, sento la necessità di emigrare. Anche se in realtà ho sempre lavorato fuori dai confini fin dall’inizio. Ma sento che questo sarà un passo importante per la mia carriera. Nell’inverno usciranno due lavori discografici. Il primo registrato con il musicista/compositore elvetico Marcel Zaes. Il disco verrà pubblicato dall’etichetta di punta dell’elettronica elvetica, la Tonus-music Records grazie al suo fondatore e musicista Don Li. Il secondo lavoro sarà assieme all’opera singer americana Rosy Anoush Svazlian interamente dedicato alla musica classica e tradizionale armena. I brani sono completamente riarrangiati da me al pianoforte e piano fender rhodes.

A Ayroldi

(seconda parte)