Ai confini tra Sardegna e jazz: Courvoisier-Wollesen, Lean Left, Tonolo-Abrams-Drake

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Ai confini tra Sardegna e jazz
Il duo Courvoisier-Wollesen - foto ©Rossetti-PHOCUS

Sant’Anna Arresi, Piazza del Nuraghe, 2-3 settembre 2017

La XXXII edizione del festival è iniziata all’insegna dello slogan We Insist! Freedom Now!, apertamente mutuato dal titolo di uno storico disco di Max Roach. La programmazione privilegia come di consueto ricerca e innovazione, alla faccia dei molti tentativi di rendere appetibile, e in ultima analisi innocuo, il jazz. Batteria e percussioni sono inevitabilmente al centro dei progetti presentati, come hanno puntualmente confermato le prime due serate.

Il duo Sylvie Courvoisier-Kenny Wollesen basa totalmente la propria azione sull’improvvisazione come composizione estemporanea grazie a una tangibile empatia. In questo contesto Wollesen esprime al meglio la raffinatezza nell’uso delle dinamiche, la predilezione per i colori e un vasto spettro timbrico anche grazie all’impiego di gong, campanacci e varia oggettistica. La pianista adotta un approccio percussivo, a tratti tayloriano, arricchito con preparazioni e qua e là intervallato da occasionali sprazzi di lirismo. L’intesa fra i due rende fluida e indolore la progressiva transizione da fasi rarefatte a crescendo ribollenti attraverso sapienti disarticolazioni del percorso ritmico.

Ai confini tra Sardegna e jazz
Alle prove Courvoisier-Wollesen si scambiano gli strumenti – foto ©Rossetti-PHOCUS
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Il duo Courvoisier-Wollesen durante le prove – foto ©Rossetti-PHOCUS

Il quartetto Lean Left procede secondo una concezione eterodossa, provvista di una benefica carica iconoclasta. Un flusso magmatico si genera e si sviluppa attraverso la dialettica tra i chitarristi Andy Moore, incaricato di predisporre una parte ritmica lancinante e corrosiva, e Terrie Ex, che col suo strumento modificato (cinque corde e sonorità a tratti più affini a quelle di un basso elettrico) intraprende percorsi impervi sfruttando timbriche inconsuete ottenute anche con l’ausilio di una bacchetta utilizzata per percuotere le corde, o la cassa armonica, e sfregare il manico. L’inesauribile dialogo tra i chitarristi è sostenuto dalla batteria di Paal Nilssen-Love con la proverbiale potenza decostruttiva (e distruttiva). Ken Vandermark emerge dagli insiemi infuocati accentuando i tratti salienti del suo tenorismo venato di tracce free e r&b, e riservando invece al clarinetto interventi rarefatti, ma spigolosi al tempo stesso, nelle rare aree di riflessione. Una proposta innovativa e convincente nella quale si ravvisa un unico limite: una certa carenza di dinamiche, specialmente nella ritmica.

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Lean Left Quartet – foto ©Rossetti-PHOCUS

Al loro primo concerto ufficiale, Hamid Drake e l’ivoriano Aly Keita – specialista di balafon e discendente da una famiglia di griot – hanno stabilito un’intesa immediata. Non a caso Drake – degno erede di Roach, Ed Blackwell e Andrew Cyrille – va senz’altro annoverato tra i batteristi maggiormente dotati di una sensibilità latentemente africana, in virtù della sua predisposizione alla costruzione di poliritmi. Le figure melodiche di Keita, iterative e cantabili al tempo stesso, trovano piena corrispondenza e adeguati sviluppi nelle figurazioni polimorfe di Drake. Keita si riserva inoltre un solo basato su un motivo tradizionale ivoriano, che suggerisce associazioni con la narrazione orale dei griot. Il concerto ha toccato il suo culmine nella riproposizione di The Drum Also Waltzes di Roach. Le figure danzanti iniziali, fondate sul gioco sommesso in 3/4 tra rullante e charleston, costituivano un viatico efficace per sviluppare una lunga progressione in cui anche il balafon occupava una parte integrante. Come dire: Roach che ritorna alla Madre Africa.

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Il duo Aly Keita-Hamid Drake – foto ©Rossetti-PHOCUS
Aly Keita durante le prove – foto ©Rossetti-PHOCUS

Drake è stato anche protagonista, con Pietro Tonolo al tenore e Marc Abrams al contrabbasso, di un trio allestito la mattina del 3 settembre per sopperire all’assenza del previsto quartetto Mbokò di David Virelles. Riallacciandosi al tema conduttore della manifestazione, si è scelto di rivisitare la Freedom Suite di Sonny Rollins, in cui figurava lo stesso Roach. Senza alcun intento filologico, ma con il sincero proposito di riesaminare alcuni movimenti (o sezioni che dir si voglia) di quella suite per metterne giustamente in luce la modernità. Nell’esecuzione si è stabilita una dialettica dinamica e propositiva tra Abrams – per la potente cavata, i solidi pedali e il fraseggio essenziale – e Drake che, oltre alla consueta inclinazione poliritmica, ha messo in mostra un vasto campionario di dinamiche e sottigliezze, culminante in un assolo concentrato sul charleston (altro evidente riferimento a Roach). Rifuggendo da qualsiasi possibile parallelismo con Rollins, Tonolo ha esibito un fraseggio come di consueto articolato con razionalità e senso della misura, eloquente risposta al coltranismo e al breckerismo imperanti nel linguaggio di tanti solisti attuali. Lo sforzo del trio è stato acclamato e premiato da una richiesta di bis, un brano africaneggiante con Tonolo al flauto e Keita al balafon, senza alcuna concessione allo pseudo-etnico oggi tanto di moda.

Enzo Boddi

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Tonolo-Abrams-Drake – foto ©Rossetti-PHOCUS
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Keita-Tonolo-Abrams-Drake – foto ©Rossetti-PHOCUS
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Drake,Tonolo e Abrams durante le prove – foto ©Rossetti-PHOCUS