Schlippenbach Trio, Cinema Torresino Padova, 29 aprile 2016

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Si preannunciava come un appuntamento imperdibile il concerto di Schlippenbach Trio a Padova il 29 aprile organizzato da Centro D’Arte, che quest’anno festeggia 70 anni con un cartellone imbastito sempre più sulla contemporaneità e sull’originalità e che con lungimiranza sa distinguersi dall’omogeneità di altre direzioni artistiche. Lo storico trio, leader del free jazz europeo, formato dai tedeschi Alexander Von Schlippenbach al pianoforte e Paul Lovens alla batteria e percussioni e dall’inglese Evan Parker ai sassofoni, era in Italia con sole due date in una ormai rara occasione di riunione. La serata sold out ha richiamato un pubblico accorso dalle provincie limitrofi nella certezza di ritrovare in loro la voce più rappresentativa della musica improvvisata europea, e così è stato. Tenendo altissima la concentrazione e l’attenzione d’ascolto suonando per quasi un’ora in una ininterrotta suite hanno saputo, ancora una volta, dare una lezione da fuoriclasse. Con un’esperienza lunga 45 anni comprendente centinaia di concerti e decine di incisioni, il trio ha elaborato un linguaggio d’improvvisazione scevro da eccessi ma tuttora fresco originale e con una energia penetrante che scaturisce dall’ interplay telepatico. Schlippenbach non è un pianista torrenziale, studia ogni accordo con eleganza; con un soffio di voce accompagna ciò che suona, in un incessante lavoro di sintesi di evocazioni, cambi di dinamiche, brevi accenni di melodie che suonano dissonanti seppur complementari alle improvvisazioni che scaturiscono da Evans e Lovens. Lovens seduto alla batteria composta da soli grancassa, rullante, charleston e due piatti, usa le bacchette nella ricerca di suoni secchi che a cascata si rincorrono e scontrano. Evans è centrale sia sul palco che nel dialogo a tre, pur lasciando frequenti spazi di unisono percussivo del piano con la batteria. Un dinamico assolo di Schlippendach è intriso di poetica, di temi presi e abbandonati; Lovens non cerca la risonanza ma suoni asciutti, prodotti con le bacchette impugnate in centro che compulsivamente  batte su piatti e rullante. Il dialogo acquista profondità e pathos lasciando echeggiare le corde del pianoforte pizzicate. Vibrazioni che Evans riprende e rielabora allungandole con il suo personalissimo suono circolare; è torrenziale in un monologo che intesse infinite storie. Anche Lovens a metà concerto crea un suono circolare con piatti e cimbali incessantemente percossi. L’impressione che si ha è che ognuno di loro potrebbe suonare in solo con la completezza di un’orchestra così come sono perfettamente complementari, solidali e dialoganti nel trio. Una lezione perciò di quanto ancora c’è da esplorare, cercare, sviscerare nella ricerca di una bellezza della musica contemporanea profondamente radicata nel passato.