Ai confini tra Sardegna e jazz: Joe Chambers, M’Boom Re:percussion, Summit Quartet

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Ai confini tra Sardegna e jazz
Joe Chambers - foto Rossetti-PHOCUS

Sant’Anna Arresi, Piazza del Nuraghe, 4-5 settembre 2017

Parte integrante della storia del jazz come batterista e percussionista per le sue collaborazioni con Bobby Hutcherson, Archie Shepp, Wayne Shorter e Max Roach nell’ensemble di percussioni M’Boom, Joe Chambers si cimenta anche al piano con quello che lui stesso definisce stream of consciousness, flusso di coscienza. In altre parole, consapevolezza ed espressione spontanea di un patrimonio assorbito nel DNA. Tra i suoi principali riferimenti figura Thelonious Monk, sia per la scelta del repertorio che – almeno in parte – per l’approccio alla tastiera. Di Monk’s Mood riemergono i segmenti tematici, centellinati per mezzo di sapienti pause ampliate ad arte; un frammento di Pannonica si coglie in filigrana negli sviluppi di una scintillante versione di Nica’s Dream di Horace Silver. Il rapporto con la song confluita nel repertorio degli standards si estrinseca con una Never Let Me Go fin troppo rimuginata e soprattutto con una Lush Life declinata con ricchezza di sfumature. La componente ritmica è maggiormente valorizzata nella palpitante interpretazione di Airegin di Sonny Rollins. Del resto, il Chambers pianista possiede un punto di forza nell’azione implacabile della mano sinistra che disegna cupe figurazioni sul registro grave evocando fugacemente Ahmad Jamal, Andrew Hill e Mal Waldron.

Ai confini tra Sardegna e jazz
Joe Chambers – foto Rossetti-PHOCUS

In veste di vibrafonista e direttore, Chambers garantisce continuità al rivoluzionario messaggio lanciato da Max Roach con M’Boom Re:Percussion, straordinaria formazione di percussioni che coniugava il linguaggio jazzistico con elementi africani e afrocubani da una parte, e influenze cameristiche, dall’altra. Oltre a Chambers, di quello storico ensemble sono rimasti Ray Mantilla (congas, bongos), Warren Smith e Eli Fountain, che si dividono tra xilofono, marimba, timpani, gong, campane tubolari e piccole percussioni. A loro si è aggiunto Diego Lopez alla batteria. Preceduta dalla proiezione del filmato inedito di un concerto in solo di Max Roach a Sant’Anna nel 1995, l’attuale formazione si è allargata per l’occasione a Marc Abrams (contrabbasso), Pietro Tonolo (tenore e flauto), più un evidente rifermento al Double Quartet di Roach: un quartetto d’archi composto dai giovani cagliaritani Silvia Congia e Anna Floris (violini), Tommaso Delogu (viola) e Rebecca Fois (violoncello). L’ampliamento è finalizzato a un’approfondita analisi di una vasta gamma di materiali. Gli archi e Tonolo, sempre conciso e inappuntabile, si inseriscono in punta di piedi nel respiro epico di It’s Time di Roach. Con sempre maggior efficacia e disinvoltura, penetrano sia nel delizioso arrangiamento di Come Back To Me di Janet Jackson che nel tessuto ricco di aromi latini di Poem For Ravel di Bobby Hutcherson. Il potenziale del collettivo, la varietà timbrica e la valenza poliritmica si esprimono al meglio nei brani basati sulla clave (ad esempio, Pomponia) e trovano la massima espressione in episodi di marca contemporanea. Composta da Chambers, Landscapes poggia sulla circolazione e sull’interscambio di stimoli con suggestivi contrasti timbrici, specie tra vibrafono, xilofono e marimba, o tra congas, batteria e timpani. L’inventiva e la sensibilità di questi maestri si manifesta anche nelle timbriche che ricavano dalle piccole percussioni o nella capacità di dosare le dinamiche (formidabile un dialogo serrato tra Fountain allo xilofono e Smith ai timpani). Sotto questo aspetto, anche il torace percosso (!) e lunghi respiri ritmati possono diventare materia viva e spunto efficace su cui articolare delle strutture.

Ai confini tra Sardegna e jazz
M’Boom Re:percussion – foto Rossetti-PHOCUS
Ai confini tra Sardegna e jazz
M’Boom Re:percussion – foto Rossetti-PHOCUS
Ai confini tra Sardegna e jazz
Ray Mantilla – foto Rossetti-PHOCUS
Ai confini tra Sardegna e jazz
M’Boom Re:percussion durante le prove – foto Rossetti-PHOCUS

Nato a Sant’Anna l’anno scorso in occasione di un concerto ora documentato su disco a cura dell’associazione Punta Giara, il Summit Quartet si è ripresentato per una necessaria verifica: valutare i margini di progresso di un’operazione basata sulla totale estemporaneità. Obiettivo raggiunto grazie anche alla consolidata intesa tra Ken Vandermark e Mats Gustafsson, da cui scaturisce una dialettica intensa e coesa. Al tenore l’americano disegna spirali avvolgenti con logica ineccepibile e possenti crescendo, mentre al clarinetto segue percorsi obliqui, memore della lezione del Jimmy Giuffre più sperimentale e di Anthony Braxton. Al baritono lo svedese produce bordoni, fasce iterative e schegge acuminate, avventurandosi sui registri estremi. Inoltre, entrambi creano sequenze ritmiche ottenute con suoni stoppati nelle imboccature degli strumenti. Un elevato grado di interplay caratterizza l’impatto tellurico della ritmica. Hamid Drake costruisce una potente e cangiante intelaiatura catturando i segnali provenienti dagli strappi improvvisi e dalle linee irregolari, mercuriali della chitarra basso di Luc Ex. A prevalere sono l’unità del collettivo, l’impatto quasi catartico dei crescendo, la capacità di aggregazione delle strutture come segno di accettazione e condivisione del rischio.

Enzo Boddi

Ai confini tra Sardegna e jazz
Summit Quartet – foto Rossetti-PHOCUS
Ai confini tra Sardegna e jazz
Summit Quartet durante le prove – foto Rossetti-PHOCUS