Cercle Magique: un trio di simmetrie e proporzioni

Cercle Magique: un trio (Nando Di Modugno, Viz Maurogiovanni e Gianlivio Liberti) e un album pubblicato da Dodicilune. Ne parliamo con i protagonisti.

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cercle magique
Jpeg

Partiamo dall’idea: chi ne è l’artefice e quali sono le motivazioni?
V.M. L’idea nasce da una discussione con il mio carissimo amico Gianlivio, col quale avevo in animo di riprendere a suonare dopo una frequentazione passata più frammentaria. Pensavamo a un trio in cui far convergere le nostre influenze musicali in maniera fisiologica, ed entrambi abbiamo subito pensato a Nando, musicista di grande sensibilità, cultura ed apertura a varie correnti stilistiche.

Perché Cerchio Magico? In francese suonava meglio?
V.M.
Originariamente avevo pensato a Homo ad circulum, figura che rappresenta le simmetrie e proporzioni, che ben si adattava all’equilibrio delle nostre personalità umane ed artistiche. Nando infine ha trasformato in francese la latinitas, per rendere maggiormente fruibile e memorizzabile il nome, pur mantenendone concettualmente l’identità evocativa.

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Viz Maurogiovanni

Il cerchio magico veniva utilizzato – forse lo è ancora oggi – per tenere fuori le energie malvagie e negative. Quali sono le energie malvagie che volete tenere fuori dalla vostra musica?
G.V. Potrei rispondere tutte quelle che non abbiamo ancora incrociato. Più semplicemente, seguiamo la nostra strada. Siamo concentrati sulla nostra musica e su quanto di buono accade in ambito musicale intorno a noi e nel nostro settore. Ergo, non c’è spazio per negatività ed energie malvagie e, seppur vi fossero, ci sarebbe sempre il cerchio magico a tenerle lontane.

Tutti brani originali a vostra firma, fatta eccezione per Raffish di Ralph Towner. Perché avete scelto proprio questo brano e perché Towner?
N.D.M. Ralph Towner è sicuramente un punto di riferimento per la sua musica sempre ispirata e sostenuta da armonie ricche, ma che non risultano mai forzate all’ascolto. Nei nostri primi incontri abbiamo provato a suonare brani non di nostra composizione per sondare le possibilità del trio e, fra questi, Raffish è «sopravvissuto» sia perché ci diverte molto suonarlo, sia perché, nelle nostre esecuzioni, assume connotati sempre particolari e comunque molto distanti dalla versione originale di Towner.

Dal punto di vista musicale, invece, il sound che ne scaturisce è una fusion delicata, con molte influenze. C’è qualche riferimento in particolare?
V.M. Le nostre influenze sono molteplici; io provengo da un crocevia di stili. Ho iniziato un percorso contrario, cominciando dalla fusion di grandi contenuti che tuttora amo (Holdsworth, Scott Henderson, Brecker, John Beasley) per arrivare all’apprendimento della grammatica più puramente jazzistica e riprendere gli ascolti di musica classica, fatti in adolescenza. L’impressionismo ha avuto una particolare influenza sulla mia formazione musicale.
G.L. Il background musicale che caratterizza il mio sound, con tutte le sue influenze, proviene dritto dritto dal rock, genere musicale che ho amato e suonato in adolescenza, anche nel circuito professionistico in Italia ed oltralpe. Il passo dal rock al jazz è stato brevissimo, non avendo riscontrato particolari differenze a livello energetico tra un brano dei Deep Purple ed uno di Coltrane (parere strettamente personale). Negli anni a venire ho ascoltato e suonato il jazz in ogni sua forma e declinazione, dallo straight al free, passando per gli autorevoli capiscuola che tutti conosciamo.
N.D.M. A proposito di influenze, avrei potuto citare, fra gli altri, gli stessi nomi di musicisti fatti da Viz e Gianlivio, pur essendo stato il mio percorso musicale diverso dal loro. Per molto tempo ho praticato esclusivamente musica classica realizzando presto però che le differenze di genere spesso sono più formali che sostanziali. Alla luce di tutto questo mi sento di dire che la musica del nostro trio è il risultato spontaneo dei nostri mondi e delle nostre personalità musicali ed è, come credo accada spesso, molto difficile districarsi nella fitta rete di suggestioni che ognuno di noi ha ricevuto.

Cover disco Cercle Magique

In alcuni frangenti, si ascolta la lezione methenyana. Mi riferisco, in particolare, a Bido. E’ solo una impressione?
N.D.M. Certo, è più di un’impressione: non c’è un’intenzione cosciente di citare la sua lezione, ma Metheny fa parte sicuramente degli ascolti e delle influenze che ciascuno di noi ha avuto e personalmente amo in modo particolare l’intensa liricità che esprime nelle ballad di sua composizione.

Poi, compaiono brani come M.L. dove fanno decisamente capolino cambi ritmici, groove, tinte di rock e un teso blues. A chi è dedicata?
N.D.M. Idealmente potrebbe essere dedicata a molti musicisti che hanno, appunto come dici tu, nella loro tavolozza tinte di rock e di blues unite a un groove teso.

Mentre a chi si riferisce André?
N.D.M. Se alludi al titolo, André è il nome di mio figlio.

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Nando Di Modugno

L’anima mediterranea emerge a tratti e, in particolare, in Alma Antigua. Avete rinunciato deliberatamente a queste sonorità?
V.M. Alma Antigua è una buleria, un passo di danza Iberico a me molto familiare. Noi mediterranei abbiamo origini comuni, in un crocevia terra/mare che ci porta ad utilizzare una koinè artistica che funge spesso da collante nella nostra formazione.

La vostra avventura come trio è nata due anni fa. Sfera magica a parte, quale sarà l’evoluzione del Cercle Magique?
G.L. L’ottimo riscontro, forse inaspettato, ottenuto da stampa, media e pubblico su questo nostro primo lavoro omonimo, ci esorta con la giusta dose di entusiasmo a proseguire con una nuova pubblicazione alla quale stiamo lavorando per definire musica ed arrangiamenti. E, come ogni progetto che si rispetti, alla seconda pubblicazione ci auguriamo possano seguirne altre.

Avete mai pensato di ampliare la vostra formazione?
G.L. Lavorando alla pubblicazione del secondo album e su un repertorio per lo più originale, la domanda si è posta spontaneamente. Il guitar trio, a mio avviso, è una delle formazione più complesse nel jazz, una formazione in cui i silenzi (non i vuoti) possono e devono pesare altrettanto quanto le parti suonate. L’ipotesi di ampliare l’organico è tuttora al vaglio, ma lasciamo che la musica ci guidi anche in questa scelta.

Avete già proposto anche all’estero il vostro progetto?
V.M. Certo, stiamo lavorando per organizzare un tour all’estero, esportare il nostro primo disco, e l’anno prossimo il secondo album a cui, come detto, stiamo già lavorando.

Il vostro prossimo obiettivo a medio-lungo termine?
G.L. Oltre alla produzione del nuovo disco, stiamo valutando alcune proposte di collaborazione a medio e lungo termine con agenzie di management e booking. Ci auguriamo così di poter avere più possibilità di portare in giro, anche all’estero, il lavoro sin qui svolto e quello a venire.

Alceste Ayroldi

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Gianlivio Liberti