Cassero Jazz, Castel San Pietro Terme, 14/15 aprile 2018 – seconda parte

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Rava-Hirabayashi, Cassero Jazz 2018
Rava - Hirabayashi, Cassero Jazz 2018

Cassero Jazz – Castel San Pietro Terme, 13–15 aprile 2018

Enrico Rava, sempre giovane nello spirito e con un flicorno nuovo di zecca, non evita le occasioni per mettersi costantemente in gioco, cercando nuove collaborazioni a cui apportare la propria esperienza e il proprio mondo poetico. Nell’ultimo anno ha avviato un sodalizio con la pianista Makiko Hirabayashi, giapponese ma residente a Copenaghen. È prossima l’incisione di un cd in quartetto per la Ecm, ma il rapporto in duo si muove su coordinate diverse e più azzardate. Il repertorio si basa prevalentemente su temi del trombettista, storici o recenti, più o meno noti. Cosa di meglio per inventare storie da raccontare al pubblico, accompagnandolo per mano? Ecco che nel primo brano le linee melodiche galleggiano in un percorso un po’ reticente e frammentario, fino a far emergere il tema in evidenza solo nel finale. Al contrario, in altri brani scattanti e spiritati il motivo viene subito esposto all’unisono con una mirabile sovrapposizione della voce del flicorno, pastosa anche se dinamica, e della diteggiatura puntigliosa e allusiva della pianista. Il percorso procede con omaggi alla musica brasiliana e suggestioni autobiografiche, fra poesia e ironia, fino a concludersi con una malinconica versione di My Funny Valentine.

Al Cassero Rava ha dimostrato di trovarsi perfettamente a proprio agio in questa dimensione colloquiale, in questo rapporto disteso e paritario, quasi come adagiato in un accogliente guscio casalingo. Quanto alla pianista, ha esibito grande versatilità e buon gusto, capace di immergersi nei meandri aperti dai temi e di dialogare, narrando proprie storie parallele e suadenti.

Rava-Hirabayashi, Cassero Jazz 2018
Enrico Rava al piano con Hirabayashi, Cassero Jazz 2018
Rava-Hirabayashi, Cassero Jazz 2018
Rava – Hirabayashi, Cassero Jazz 2018

Va dato merito a entrambi i duetti ospitati nelle prime due serate (qui la recensione della prima serata), per aver suonato, pur essendo di recente formazione, senza l’avvallo di spartiti; il che ha aumentato la dose di rischio, richiedendo una concentrazione costante e partecipata.

Nella serata conclusiva, invece, gli spartiti erano ben presenti nel concerto del nuovo trio di John  Surman, «Invisible Threads», già su disco Ecm e completato dal pianista brasiliano Nelson Ayres e dal vibrafonista newyorchese Rob Waring. Il ricorso alle partiture ha comportato una misura cameristica della performance con un preciso rispetto dei ruoli; questo soprattutto nei primi brani, su ispirazioni di carattere impressionistico e su tempi medi. Ma ben presto si sono concretizzate situazioni più estroverse e mosse, che hanno dato adito a un intreccio improvvisativo più fecondo delle voci: su composizioni di Surman, anche riesumate dagli anni Settanta, in Summer Song a firma del pianista, dai vivaci sapori popolareschi provenienti dal Centro America, in altri brani dalle strutture melodico-ritmiche ben marcate.

Ciò che è balzato sempre in evidenza è stata la ricchezza degli impasti timbrici fra i tre virtuosi strumentisti. Il sound del leader, al soprano e al clarinetto basso, risulta oggi forse più poroso, vibrante e “umano”, pur conservando l’ardito e tagliente rigore di un tempo. Ayres dispiega un pianismo elegante e solare, ma all’occorrenza corroborato da una considerevole potenza di suono negli accordi tracciati dalle due mani. Il contributo di Waring, caldo brunito e avvolgente alla marimba, dagli scintillanti riverberi al vibrafono, amalgama il tutto con un colore cangiante e un contrappunto costante ed efficace.   

Libero Farnè         

Fotografie di Mario Sabani   

John Surman trio, Cassero Jazz 2018
John Surman trio, Cassero Jazz 2018
John Surman, Cassero Jazz 2018
John Surman, Cassero Jazz 2018
John Surman trio, Cassero Jazz 2018
John Surman trio in un momento di relax durante le prove, Cassero Jazz 2018