Intervista a Bruno Canino ed Enrico Pieranunzi II parte

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di Alceste Ayroldi

In occasione del doppio concerto che Bruno Canino ed Enrico Pieranunzi terranno alla rassegna MiTo il 5 settembre a Torino e il 7 a Milano e della prossima uscita del loro lavoro discografico, abbiamo chiacchierato con entrambi. Questa è la seconda parte dell’intervista.

Un profondo e luminoso spaccato dell’America del Novecento. Quali sono stati i punti di criticità per lei Maestro Pieranunzi?

L’America del Novecento è stata – ed è ancora –  un crogiuolo incredibile, in cui sono avvenute in serie, come in un acceleratore di particelle,  vere e proprie collisioni di atomi musicali che hanno dato vita a realtà imprevedibili. Una dorsale decisiva è stata naturalmente il jazz: da Armstrong a Parker e Miles Davis questa musica (che contiene tante altre musiche)  è stata l’invenzione più straordinaria che l’America del Novecento sia stata in grado di regalarci. E poi naturalmente Gershwin, Bernstein, Copland, che sono riusciti  nella non facile impresa di  costruire un linguaggio autonomamente americano. Senza dimenticare i  Reich, i RileyJohn Adams che citavo sopra e lo stesso Cage.

Perché avete scelto il continente americano?

EP: Qui naturalmente la mia presenza  nel duo ha giocato un ruolo non secondario. Non sono certo americano ma di sicuro la mia frequentazione del jazz m’ha portato molto dentro l’atmosfera, il mood di quel continente. E, come dicevo all’inizio dell’intervista, il maestro Canino – che è  un insaziabile curioso e ricercatore – ha sempre mostrato interesse per il linguaggio jazzistico. Affrontare il quale (anche se nelle sue forme scritte, come soprattutto in Gershwin, che in realtà non scriveva jazz ma ne utilizzava genialmente alcuni suoi aspetti armonico-ritmici ed espressivi) è sempre una sfida entusiasmante.

Se possibile, simuliamo uno scenario in versione europea: quali autori avreste preso in considerazione?

EP: Siamo solo all’inizio della nostra esperienza insieme e ci sarebbe tanto da suonare.  Consideriamo poi che il maestro Canino insieme ad Antonio Ballista ha costituito per lungo tempo una delle migliori formazioni di duo del mondo: due straordinari musicisti capaci di affrontare ogni tipo di repertorio, anche quello più impervio e sperimentale.  Ci sono alcuni autori che amo particolarmente  e che mi piacerebbe suonare con lui: Debussy, Poulenc, Hindemith, altro Milhaud (oltre a Scaramouche, che abbiamo già in repertorio) …vediamo. Ma mi piacerebbe anche  avere il piacere di incrociare i miei suoni con i suoi suonando Bach. Bruno sa tantissimo e la sua raffinata  capacità di comprensione della musica rende il suonare con lui una grande emozione.

C’è qualcosa che avreste voluto aggiungere, ma che per ragioni di spazio non è stato possibile farlo?

BC: Peccato non poter aggiungere un bel pezzo giovanile di Bernstein, per ragioni di copyright.

Oggi, qual è il ruolo dell’interprete?

BC: Ieri come oggi come spero domani, quello di un onesto mediatore tra chi ha scritto la musica e chi l’ascolta.

EP: E’ una parola che ha perso  molto del suo fascino e il suo senso chissà dov’è più. Il mediatico impone oggi  di essere  performers. I tempi di preparazione,  riflessione ed  elaborazione  dell’opera sono sempre più corti, la comunicazione sonora  ha  subito una drastica compressione del tempo narrativo: la musica viene più vista che ascoltata. Tutti i ruoli artistici  tradizionali sono un po’ sottosopra secondo me  Si sta aprendo una fase completamente nuova.  Certo, la funzione di mediatore tra il compositore e il pubblico è sempre necessaria. Ma non c’è dubbio che le coordinate  cui riferirsi se si vuole essere interpreti oggi  sono piuttosto  liquide (come tutta la società,  del resto:  Bauman docet).

A vostro avviso, quali sono i compositori di musica contemporanea (d’ogni genere) che sono destinati a lasciare un segno nel futuro?

BC: Questo non si può mai dire: certe volte si hanno delle brutte sorprese, affidandosi alla posterità.

EP: Ci vorrebbe veramente la palla di cristallo! Poi, il futuro… Implica uno stare del tempo da qualche parete, dopo, che in giro non si vede. L’erosione del passato fa del tempo un presente in cui il futuro sembra avere sempre meno spazio. Penso che  lasceranno un segno quelli più in grado di essere mediatici, a prescindere dal linguaggio che adottano, che  probabilmente conterà sempre meno.

Chi sono i pianisti contemporanei che per la loro tecnica vi colpiscono maggiormente e per quali motivi?

EP: La tecnica di per sé francamente mi colpisce poco. Da sola è puro atletismo che può non aver nulla a che fare con la musica. E’ piuttosto noiosa. E’ una storia antica d’altra parte…I virtuosi attirano, portano tutto all’estremo, fanno spettacolo. La gente ama i fenomeni.  Per gli interpreti (vedi appunto la mia risposta alla domanda relativa, più sopra…) è vita dura. Comunque in generale mi  interessano i pianisti-musicisti, quelli capaci di creare un loro mondo musicale. Tra questi secondo me i migliori (scusi la faziosità…)  sono ancora i jazzisti: Corea, Hancock, Mehldau.   Rischiano molto di più di quanto comunemente si pensi,  anche molto più dei fenomeni.

Maestro Pieranunzi, molti suoi colleghi sono affascinati dall’elettronica. Lei, invece, non ha subito tale fascinazione. Cosa ne pensa in proposito?

In effetti m’ha sempre interessato poco…però di recente mi sono riavvicinato, con un certo divertimento, al Fender, alterato dal phasing. E’ un suono molto anni Settanta. Suonavo spesso il Fender in quel periodo, soprattutto quando registravo musiche per film. Ma devo dire che il piano acustico, questa misteriosa, scatola sonora, un po’ anacronisticamente piena di legni, legnettini, viti, vitarelle mi affascina ancora del tutto, come fosse un oggetto arrivato da un altro pianeta e da un altro tempo.

Avete già suonato diverse volte insieme e in differenti contesti. Quali sono state le reazioni del vostro rispettivo pubblico abituale?

BC: Grazie al cielo la reazione di un pubblico, non particolarmente specializzato, è stata incoraggiante.

EP: Finora ottime direi. Il pubblico è molto cambiato in questi anni e si diverte molto di fronte a situazioni inusuali o a commistioni che, in passato, sarebbero sembrate blasfeme.

Maestro, come si crea uno stile personale?

BC: È noto che nessuno conosce se stesso: sono gli altri che definiscono le nostre particolarità stilistiche. Penso che sia ingannevole e pericoloso cercare a tutti i costi di individuare un proprio stile: è importante fare il proprio dovere.

EP: Non è evidentemente un atto di volontà.  E’ l’esito di una ricerca costante, fuori e dentro di sé. E’ la scoperta dello sconosciuto che alla fine sei tu. Quando scrivi un pezzo e fai un assolo e ti dicono «Si riconosce subito che sei tu» è da una parte un bel momento ma, anche, ti pone un grande interrogativo. Che però è quello che ti fa andare avanti nella ricerca.

La crisi del mercato discografico, la crisi economica in generale che ha portato ad ampi tagli nell’erogazione dei contributi, giusto per fare un paio di esempi, hanno portato a un progressivo depauperamento del pubblico nelle performance dal vivo. Secondo voi, si tratta esclusivamente di una crisi economica o possiamo parlare di una crisi culturale, come già più volte paventato da Eric Hobsbawn, Gillo Dorfles o Cavalli Sforza?

BC: Temo che la crisi sia stata pilotata per ragioni di marketing.

EP: E’ certo una crisi culturale, irreversibile. Chi vivrà vedrà…..

Cosa è scritto nell’agenda di Bruno Canino?

Ancora un certo numero di impegni, da solo e in compagnia di amici. Aumentano purtroppo impegni per giurie di concorsi e masterclass.

Cosa è scritto nell’agenda di Enrico Pieranunzi?

In nome appunto della «doppia vita»  di cui sopra, che continua, c’è di tutto: concerti a New York al  Village Vanguard, vari piano solo in giro per l’Europa,  concerti per piano e orchestra con in repertorio Bach, Haydn, Vivaldi e Scarlatti (mie trascrizioni). In questi concerti l’altro solista, con mia grande felicità, sarà mio fratello Gabriele. Poi  in trio con lui e Gabriele Mirabassi faremo in varie occasioni Serata Gershwin (presenteremo An American in Paris e Rhapsody in Blue ancora trascritte da me  per questo organico) e poi…naturalmente  concerti con  il magnifico duo che ha dato spunto a questa intervista.

Alceste Ayroldi

Il link della I parte dell’intervista

https://www.musicajazz.itintervista-a-bruno-canino-ed-enrico-pieranunzi-i-parte/