Andrew Vachss & Son Seals: Il blues li fa e poi li accoppia

Che cosa succede quando un popolarissimo scrittore incontra su un palco un altrettanto popolare cantante e chitarrista di blues? Scopritelo con noi nelle complicate avventure di due strani personaggi

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frank seals
Andrew Vachss -foto Mike Anderson/RedDoorStudio.com

A uccidere Frank «Son» Seals di Osceola, Arkansas, non fu il colpo di pistola che un giorno gli sparò in faccia la moglie ma, nel 2004, il diabete che gli aveva già portato via una gamba. Tempo cinque anni e, nel 2009, la Blues Hall of Fame gli avrebbe aperto le porte di casa. Frank Seals non c’era più ma alla fine si erano ricordati di lui e dei suoi dischi. Dieci in tutto, incisi tra il 1973 e il 2002, e tutti per la Alligator. Tranne uno per la Telarc che in catalogo, prima di arruolarlo e darsi al blues, aveva Oscar Peterson e George Shearing.

Con la batteria e la chitarra, Frank Seals aveva cominciato presto e poi, per caso, si era ritrovato a incidere il suo primo disco. Gli era andata bene che una sera, mentre suonava al Flamingo di Chicago, ci fosse in sala Wesley Race, il produttore. Qualche mese e poi, per l’Alligator, sarebbe uscito «The Son Seals Blues Band». Una rivelazione, per critica e pubblico, ma anche uno dei suoi dischi più belli. Agli stessi livelli, in studio, si sarebbe ripetuto solo all’ultimo, con «Lettin’ Go» (2000). In mezzo, tra l’uno e l’altro, cinque album di onesto blues elettrico e un paio, invece, d’ascoltare e riascoltare: «Live and Burning» (1978) e «Live: Spontaneous Combustion» (1996). Incisi dal vivo e tutti e due a Chicago (uno al Wise Fools Pub e l’altro al Buddy Guy’s Legends), perché l’Alligator sapeva bene che era sul palco, più che in studio, che Seals dava il meglio di sé. Lo sapeva Race (che l’aveva scoperto al Flamingo) e il resto del pubblico. E anni dopo l’avrebbe saputo anche Andrew Vachss, lo scrittore. Quello di Oltraggio e Blue Belle.

Seals era già conosciuto in città, quando una sera arrivò Vachss per un reading. Doveva leggere qualche pagina del suo ultimo romanzo e poi intrattenere il pubblico, solo che sul palco del Barbara’s, c’era ancora Son Seals che suonava e la gente sembrava fosse venuta solo per lui e la sua chitarra. Nessuno badava a Vachss. Gli occhi di tutti erano puntati sul palco e la musica riempiva l’aria. Era da tempo che, a Chicago, Seals non era più una semplice gloria locale, ma una vera e propria leggenda nazionale. Nel 1955, a tredici anni, s’era fatto le ossa suonando la batteria per Robert «Nighthawk» McCollum. Passato poi alla chitarra, aveva accompagnato Rufus Thomas, Junior Parker e Jimmy Grubbs. Non solo blues, ma anche un po’ di country e tutto in pochi anni. Nel 1971, quando era arrivato in città, di strada ne aveva già fatta tanta e aveva pure un gruppo tutto suo. Quello degli Upsetters che nel 1973, con qualche cambiamento, si sarebbe trasformato nella blues band che poi l’avrebbe accompagnato nel suo primo album.

Vachss, ai tempi, non era ancora uno scrittore. Lo sarebbe diventato dodici anni più tardi e intanto, prima di fare anche l’avvocato, avrebbe fatto un po’ di tutto. Nel 1969, a neanche trent’anni, lasciati gli studi e sotto l’egida dell’ONU, era volato in Africa per aiutare le vittime e i profughi della guerra che era scoppiata in Nigeria, con la nascita e la veloce scomparsa della repubblica del Biafra. Tornato a casa, si era laureato e aveva svolto alcune indagini per conto del governo. Si era dato da fare per reinserire in società chi era uscito di galera e in seguito, per qualche tempo, avrebbe pure diretto un carcere minorile. E tutto questo prima di dedicarsi, come avvocato, alle violenze e ai maltrattamenti sui minori. Causa che, fin dall’inizio, avrebbe sposato anche come scrittore. Facendo così scendere in campo Burke, con Oltraggio. Una sorta di investigatore privato senza licenza e che in città si muove come un fantasma. Nessuno lo vede e a conoscerlo sono in pochi. Un soldato senza esercito che, contro il male, combatte una battaglia tutta sua, dove si permette qualsiasi colpo. Anche quello più basso, pur di salvare i deboli e i bambini. Niente, insomma, a che vedere con Philip Marlowe e altri private eyes. Burke non ha parenti stretti. Se non, forse, qualche spostato di quelli che col tempo, Clint Eastwood ci ha reso familiari. Gente che, come il Cavaliere Pallido, vive e si muove al di fuori della legge, che si fa giustizia da sé e che cerca, per quanto può, di mettere le cose a posto. Salvando i buoni e inchiodando i cattivi. Cowboy solitari come lo Straniero Senza Nome, o con famiglia a carico. Come Josey Wales, il Texano dagli Occhi di Ghiaccio. Anche se la sua non è una vera e propria famigli, visto che a formarla èun pugno di persone incontrate per strada, ma che lui, pur di salvarle, venderebbe anche l’anima al diavolo. Come farebbe lo stesso Burke per Mama, il Prof, la Talpa e Michelle. La sua famiglia. Un gruppo di freaks che con Burke condivide i legami, i valori e le stesse regole del gioco.

Alcune copertine dei romanzi di Andrew Vachss

A Chicago, per suo reading al Barbara’s, Vachss c’era arrivato come avvocato eA Chicago, per suo reading al Barbara’s, Vachss c’era arrivato come avvocato e scrittore famoso. Non solo di romanzi, ma anche di racconti e sceneggiature per alcuni fumetti della Dark Horse e della DC. I suoi casi giudiziari erano finiti spesso sulle pagine dei giornali, mentre in libreria era appena giunta Footsteps of the Hawk, l’ottava avventura di Burke. Quella sera, insomma, erano ben pochi al Barbara’s a non sapere chi fosse Vachss. Eppure gli occhi erano tutti per Son Seals.

Pure quelli di Vachss, che lo guardava incantato. Non aveva mai sentito nulla di simile, anche se di blues ne aveva masticato tanto. Fin da quando, un giorno, l’aveva scoperto. «Ho sempre ascoltato – ricorda lo scrittore – un sacco di musica. Il blues, però, non m’aveva mai toccato. Mi aveva sempre detto poco o niente. Poi invece un giorno, all’improvviso, cominciai a non poterne fare a meno». Tanto che, anni dopo, divennela colonna sonora dei suoi romanzi. Fin da Oltraggio, la prima avventura con Burke, dove Vachss infilò anche Slim Harpo, Charlie Musselwhite, Buddy Guy e Muddy Waters. Non solo blues, comunque. In quelle pagine c’era pure il country di Hank Williams e Kinky Friedman. Come il vecchio pop di Rosie & The Originals e il folk-blues di Judy Henske che, nel giro di due anni, si sarebbe fatta risentire da Burke. In Abuso, infatti, c’è ancora lei e questa volta con Robert Johnson, T-Bone Walker e gli Heartbeats, col loro doo-wop.

La musica, con Vachss, si ascolta in auto, nei locali, alla radio, da un’audiocassetta. È sempre pronta a scaldare Burke, come una vecchia coperta. È la corda cui ci si aggrappa, per rimanere a galla. Al contrario, invece, di quanto avveniva, in quegli stessi anni, nei romanzi di James Ellroy, dove la musica non scaldava affatto e non dava aiuto. Jazz, pop, rock o blues: per Ellroy era tutta musica del diavolo. Nata dal caos, per alimentare il disordine. In un’isola deserta, come avrebbe confessato alla BBC, Ellroy si sarebbe portato solo qualche disco di Beethoven, Bruckner e Sibelius. «Il rock – faceva dire a uno dei suoi personaggi – provoca il cancro e ti rovina la pelle». Diceva anche che, piuttosto che andare a un concerto con un amico, preferiva starsene a casa, a guardare le mosche che s’accoppiavano. «Il rock – raccontava – , come il pop e tutta quella musica lì, mi ricorda di quando passavo le giornate a bere, a drogarmi e a rubacchiare nelle case. Allora, non me ne fregava niente di tutto ciò che mi capitava attorno». Più tardi, Ellroy se la sarebbe presa anche con Dick Contino, che incideva e suonava la fisarmonica ai tempi in cui Mingus se ne usciva con «Tijuana Moods». In alcuni dei suoi racconti, Ellroy fece di Contino un dannato motherfucker. Però, a metà degli anni Ottanta, in Perché la notte (titolo preso dalla canzone di Bruce Springsteen e Patti Smith), Ellroy aveva iniziato a prendersela con Mac Rebennack, meglio conosciuto come Dr. John The Night Tripper, come nel 1968 s’era presentato con «Gris-Gris». Un album che ancora oggi, solo a tenerlo in mano puzza di jazz, diavolo, blues e voodoo. Quel disco, ai tempi, a Ellroy non era piaciuto. L’aveva sentito come qualcosa di malato e così, anni dopo, se ne sarebbe ricordato chiamando Night Tripper il cattivo del suo libro, dove si parlava anche di un disco di Dr. John che non è mai esistito. Ellroy è fatto così. Prendere o lasciare. Vachss, invece, è già tutta un’altra storia. Lui della musica, in particolare del blues, non riesce farne a meno.

Anche se Dr. John non compare mai, nei suoi romanzi con Burke. In quelle storie, infatti, si continua ad ascoltare Musselwhite, Butterfield, Buddy Guy, Junior Wells, Ronnie Hawkins, Billie Holiday, Bonnie Raitt… e soprattutto Judy Henske. È lei il chiodo fisso di Vachss. Da Oltraggio a Footsteps of the Hawk (1995), la incontriamo per ben quattordici volte. È presente anche negli altri romanzi con Burke protagonista, fino all’ultimo, Another Life (2008). È solo in Terminal (2007) che non si fa trovare. Lì, al suo posto, ci sono Magic Sam, Ron Holden, Kathy Young e le loro canzoni, perché Vachss non lascia mai Burke senza musica. Sa infatti che il suo personaggio ne ha sempre bisogno per chiudere il buco che ha nell’anima e che alimenta con tutto ciò che di brutto vede e continua a fare, ogni volta che gli affidano un caso.

Anche Vachss, comunque, non riesce a fare a meno della musica. «Ne ascolto tanta, ogni giorno. Mi aiuta, mi sta vicino. Ci sono poi alcune canzoni che conosco a memoria e che mi porto dentro da anni e che mi fanno compagnia, in tutto ciò che faccio. Anche quando scrivo». Così ecco che, a stargli vicino, troviamo Screamin’ Jay Hawkins, Doc Pomus, Mighty Joe Young, Janis Joplin, Otis Rush e avanti così, fino alla sua amata Judy Henske. Tutti cantanti e musicisti che Vachss, diventato scrittore, avrebbe fatto conoscere anche al suo Burke. Compreso Son Seals, l’ultimo arrivato. «Quella sera, al Barbara’s, era la prima volta che lo vedevo suonare e ne rimasi incantato. Diventammo subito amici». Tempo un anno e poi, nel 1996, l’avrebbe infilato in «False Allegations», facendolo così incontrare con Burke che, in quello stesso romanzo, scopre pure Bazza. Che poi non è altro che lo pseudonimo di Barry Crawford, cantante e musicista, che anni dopo avrebbe pubblicato «Freeze»: un album basato sul romanzo Freddo nell’anima di Joe Lansdale, grande amico di Vachss che ne cita la figlia Kasey, apprezzata cantante country, nei suoi Mask Market (2006) e That’s How I Roll (2012). Però, intanto, è Seals che ha preso al cuore Vachss che, in Safe House(1998), ce lo fa pure sentire mentre canta Going Back Home, un blues preso da «Midnight Son», un album del 1976. In questo libro, oltre a Seals e alla solita Henske, Vachss fa comparire anche Howlin’ Wolf, Muddy Waters, Buddy Guy, Marcia Ball, Little Charlie e Bazza, tutti con una canzone che poi ascoltiamo anche nell’omonimo album che, prodotto dallo stesso Vachss, uscì in contemporanea con Safe House.

Il diabete, nel mentre, non se ne stava fermo. Andava avanti per la sua strada e nel giro di qualche anno avrebbe ucciso Seals che, nel frattempo, sarebbe stato ospitato da Vachss in altri tre suoi romanzi: La seduzione del male (1999), La vendetta di Burke(2000) e Contro il male (2001). Libri dove Seals cantava My Life (brano che, nel 1991, chiudeva il suo album «Livin’ In the Danger Zone») e Bad Blood. Canzone che, scritta a quattro mani con lo stesso Vachss, apriva invece «Lettin’ Go»(2000). Disco che ospitava pure Doc’s Blues, un altro pezzo firmato dalla coppia Seals & Vachss.

«Lettin’ Go», per la Telarc, fu il canto del cigno di Seals. Un disco così bello, in studio, non lo incideva dai tempi di «The Son Seals Blues Band», quasi trent’anni prima. E a suonarci aveva convocato Al Kooper, Mark Pender, Trey Anastasio e Jimmy Vivino. Poi le condizioni di Seals cominciarono a peggiorare. Il chitarrista andò comunque in tour e nel 2002, due anni prima della scomparsa, fu omaggiato dall’Alligator con «Deluxe Edition», un Greatest Hits a suo nome. Solo che i giochi erano fatti: Seals era giunto alla fine. Se ne era accorto pure Vachss che, dopo Contro il male aveva ritirato il nome e la musica di Seals dai suoi romanzi con Burke. Come fanno alcune squadre con le maglie dei loro campioni. Qualche anno ancora e, dopo diciassette romanzi, anche Burke si sarebbe ritirato dal gioco con Another Life (2008), castigando per un’ultima volta i cattivi e ascoltando, come sempre, la musica che, quasi trent’anni prima, gli aveva insegnato Vachss e che ancora gli piaceva tanto. Da Johnny Ace a Dinah Washington passando per Paul Butterfield, Hank Ballard e la solita Henske che oggi, al contrario di Seals, è ancora viva anche se ritirata dalle scene. L’ultimo disco, «She Sang California», risale al 2004, lo stesso anno della morte di Seals. Poi sarebbe toccato a Burke non farsi più sentire. E meno male che, a lavorare per noi, è rimasto almeno Andrew Vachss. Lui, col blues e tutte le sue storie.

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