Ai confini tra Sardegna e jazz: Tononi-Ibarra, Shamania, Tyshawn Sorey

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Ai confini tra Sardegna e jazz
Il duo Tononi-Ibarra - foto Rossetti-PHOCUS

Ai confini tra Sardegna e jazz – Sant’Anna Arresi, Piazza del Nuraghe, 6-7 settembre 2017

In onore di Max Roach, nume tutelare della XXXII edizione, le percussioni hanno assunto un ruolo sempre più predominante nell’ambito del suo svolgimento. Percussion Discussion è il titolo di una composizione di Roach, evocato sotto certi aspetti dal duo Tiziano Tononi-Susie Ibarra. Infatti il loro incontro, il primo in assoluto, si è tradotto in un dialogo proficuo, una discussione vivace ma costruttiva. Tra i batteristi italiani Tononi è senz’altro il più legato, stilisticamente e culturalmente, alle avanguardie afroamericane degli anni Sessanta e Settanta. Andrew Cyrille, Milford Graves, Ed Blackwell figurano tra i suoi più attendibili riferimenti. Inoltre, Tononi è un attento studioso del patrimonio ritmico africano e indonesiano (gamelan di Giava e Bali in primis). Ibarra è attiva da tempo nelle aree più avanzate del jazz odierno (al fianco di Dave Douglas, Wadada Leo Smith, John Zorn, Sylvie Courvoisier) ed è profondamente interessata sia alla musica maghrebina che al kulintang, forma tradizionale delle Filippine, paese di origine dei genitori. Nell’ambito di un set percussivo formato da batterie, gong, campanelli e sonagli, la loro dialettica trae giovamento da un meccanismo di chiamata-risposta, dall’esplorazione di timbri rarefatti e da dinamiche accurate. In poche parole, un’elevata capacità di ascolto reciproco che onora degnamente lo spirito di Roach. Come Tononi ha dichiarato alla fine: “Non so se Max Roach avrebbe apprezzato quello che abbiamo fatto, ma abbiamo suonato per lui”.

Ai confini tra Sardegna e jazz
Susie Ibarra – foto Rossetti-PHOCUS
Ai confini tra Sardegna e jazz
Il duo Tononi-Ibarra durante le prove – foto Rossetti-PHOCUS

Contrariamente a quanto suggerito dal nome, l’ensemble femminile scandinavo Shamania – guidato da Marilyn Mazur – possiede ben poco di sciamanico. Questo vivace collettivo trasmette semmai un sano senso ludico e la gioia della comunione in musica. L’originale repertorio consta di brani che prendono spunto da figurazioni (o semplici stimoli) dettati dalla percussionista danese. Il tutto viene poi tradotto in temi cantabili, di una semplicità a volte ingenua ma al tempo stesso genuina. L’ispirazione di fondo rivela una matrice etnica non banale (e soprattutto non artificiale) con frequenti riferimenti a polifonie, forme poliritmiche e iterazioni africane, ma solo vaghi accenni al retroterra scandinavo. Il lavoro febbrile e la vasta gamma di colori della leader sono sostenuti da Lisbeth Diers (congas) ed Ellen Andrea Wang (contrabbasso), mentre a Makiko Hirabayashi – giapponese residente a Copenaghen – è affidato il compito di raccordo e cucitura con piano e tastiera. Le notevoli voci di Josefine Cronholm e Sissel Vera Pettersen (anche valente contraltista) possono avventurarsi in ardue acrobazie, ma integrano spesso la sezione fiati: Hildegunn Øiseth (tromba, bukkehorn), Lis Wessberg (trombone), Lotte Anker (tenore, soprano). Infine, alcune esecuzioni sono arricchite dagli interventi della danzatrice Tine Aspaas. Il maggior pregio risiede nella capacità di comunicazione senza filtri intellettuali e con sinceri intenti di condivisione della musica. Paradossalmente, però, ciò potrebbe alla lunga rivelare dei limiti senza gli opportuni approfondimenti.

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Marilyn Mazur – Shamania – foto Rossetti-PHOCUS
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L’entrata in scena di Marilin Mazur -Shamania – foto Rossetti-PHOCUS

Sciamanico è risultato invece per lunghi tratti il set in solitudine di Tyshawn Sorey, che ha esordito con accordi di piano rarefatti e cadenzati, ripetitivi fino all’ossessione, in un crescendo dove dinamiche e altezze giocavano un ruolo essenziale sulla scorta della lezione di John Cage e Morton Feldman: un monolitico equilibrio poi spezzato da schegge di vibrafono. Il batterista utilizza il grande set percussivo disposto in forma circolare (con batteria, bongos, glockenspiel, campane tubolari, gong) per realizzare combinazioni inconsuete con l’ausilio di bacchette, battenti e martelletti e trarne così timbriche inedite in una progressiva aggregazione di cellule. In tal modo, si crea una circolazione di impulsi costante, febbrile, frutto di un lavoro accurato sul suono che si riallaccia tanto a storiche esperienze in ambito contemporaneo (Cage, Berio, Xenakis) quanto alle innovazioni introdotte nel jazz dai musicisti del circuito AACM di Chicago.

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Tyshawn Sorey – foto Rossetti-PHOCUS
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Tyshawn Sorey durante le prove – foto Rossetti-PHOCUS

Kassa Overall è noto in ambito jazzistico come batterista, segnatamente per le collaborazioni con Geri Allen e Vijay Iyer. Odd Time rappresenta il versante commerciale, legato al rap e allo hip hop, della sua produzione. Alternando rap e batteria col supporto di campionamenti, Overall e Kool A.D. inizialmente hanno imbastito spunti interessanti, dove il rap assumeva una valenza ritmica compiuta, assimilabile a figurazioni ritmiche. I successivi ingressi in scena del rapper Dada Powell, dell’improponibile voce di Saba Moeel e di Daryl Johns (contrabbassista del trio jazz di Overall) non hanno fatto altro che appesantire la trama, trasformandola in lunghe sequenze banali e prive di costrutto. Il rap come forma d’arte popolare afroamericana e strumento di denuncia sociale, proposto da Public Enemy ed esplorato perfino da Steve Coleman, è tutta un’altra cosa.

Enzo Boddi

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Kassa Overall-Kool A.D-Dada Powell – foto Rossetti-PHOCUS

 

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Kassa Overall-Kool A.D-Dada Powell in un momento di relax – foto Rossetti-PHOCUS